SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il rudere al numero 38 del lungomare Marconi è sotto tutela da parte della Soprintendenza delle Marche, che vorrebbe la ricostruzione dell’immobile simile a com’era prima dell’arrivo delle ruspe.
Parliamo di una caso complesso che si trascina dal 2014. Parliamo di Villa Petrocchi abbattuta in gran parte nell’aprile 2014, fino allo stop della Soprintendenza. Cosa è rimasto di Villa Petrocchi si può vedere dalla foto. Il Tar e il Consiglio di Stato si erano già pronunciati a favore del vincolo. Ma a dicembre 2018 il Tar delle Marche con una seconda sentenza ha respinto il nuovo ricorso dei proprietari Marco e Tiziana Egidi (procuratori della madre Cecilia Petrocchi), lasciando quindi il vincolo apposto dalle Belle arti di Ancona. I resti dell’immobile sono stati recintati, insieme all’ampio giardino, con una rete da cantiere.
Per la Soprintendenza i fratelli Egidi dovrebbero elaborare “un progetto che ricostituisca e commemori il pregevole esempio di architettura razionalista, indebitamente demolito” aggiungendo che “oltre alla sua volumetria, dovranno essere riproposti le modalità di aggregazione, il rapporto con l’area verde circostante, con il lungomare e con la costa”.
Secondo le Belle arti il manufatto era accostabile all’architettura razionalista, tendenza sviluppata in un periodo collocato tra le due guerre mondiali. Insomma, sarebbe stato realizzato negli anni Trenta. Per la proprietà, invece, l’edificazione risalirebbe agli anni Sessanta.
I giudici non hanno neppure dato peso al parere di Vittorio Sgarbi che definiva la palazzina “priva di ogni interesse e dignità architettonica, nelle forme e nei materiali, anche inconsapevoli”.
Il caso suscitò clamore nell’aprile 2014, quando il Nucleo tutela ambientale dei carabinieri di Ancona sequestrò il cantiere mentre le ruspe stavano demolendo l’edificio. L’immobile era in fase di abbattimento perché i proprietari avevano ottenuto l’autorizzazione dal Comune di realizzarvi un residence.
Ma qualcosa andò storto. Gli uffici tecnici dell’amministrazione rilasciarono le autorizzazioni prima che scattasse il vincolo delle Belle arti. E la demolizione iniziò il giorno in cui era scaduto il termine per vincolare la palazzina. Così sembra.
Quando però i carabinieri apposero i sigilli al cantiere mostrarono il decreto di vincolo, firmato qualche settimana prima che cominciasse l’intervento. Ma pare che l’atto non fosse stato notificato in tempo alla proprietaria, altrimenti non avrebbe iniziato l’abbattimento. Sta di fatto che il Tar e il Consiglio di Stato hanno respinto la richiesta di annullamento del vincolo della Soprintendenza.