SAN BENEDETTO DEL TRONTO – «Mi chiamo Bara, vengo dal Senegal ma vivo da dieci anni a San Benedetto. Si vive bene qua. Ma manca la famiglia… il pensiero va in Africa». Bara ha studiato al liceo e si è laureato all’università di Dakar. Era un bravo studente, e oggi è un figlio affezionato a cui manca la famiglia. Ma lui sta bene, è felice di sbarcare il lunario e di riuscire a mandare qualcosa ai suoi cari. «Mi trovo bene qua. La gente ti lascia integrare e non è razzista. Qua non succede quello che si sente in altre città».
Come Bara ce ne sono tanti. Il litorale è costellato di piccoli commercianti abusivi. Vengono dal Senegal soprattutto, ma anche dal Marocco, dalla Tunisia, dal Mali, dal Ghana. Sono braccianti e operai delle fabbriche della zona industriale impiegati in mansioni che i nostri ragazzi non vogliono più svolgere, in inverno, e trainano in queste mansioni l’economia del paese, come ha ricordato a giugno il presidente dell’Istat, allarmato dalle esternazioni del Viminale. In estate entrano nel giro dell’abusivismo, su cui le autorità attuano una politica strillata di opposizione, ma che poi nei fatti viene tollerato in quanto gradito dagli stessi bagnanti.Il fenomeno penalizza i nostri commercianti? Quelli con prodotti a prezzi molti bassi, forse, se i prodotti sono simili. Deturpano il paesaggio Marino? Sicuramente le turiste che assaltavano le bancarelle in spiaggia questa estate lo tollerano bene.
Sono venuti in Italia per scampare a un destino di guerra e carestia, inseguendo il miraggio di una vita migliore, e se sono stati fortunati hanno con se’ moglie e figli e si sono integrati in un contesto accogliente. E aperto allo straniero come solo un porto di mare sa essere. Bara e’ da sette anni stabile in Italia ma non è uno di quelli che ricorda con orrore la traversata per arrivare in Paradiso. Lui fa una vita da mercante in giro per l’Europa e l’Africa. Mercati in Marocco, Spagna, Germania, Francia e Repubblica Ceca, per poi fare ritorno in Italia. Il giro dura meno di un anno, ma deve fruttare almeno 3000 eu: questo è il prezzo della libertà, lo scoglio da raggiungere nel lavoro per avere i documenti. Un altro bel problema: è stato sempre regolare lui, ed è anche riuscito a mettere via un bel gruzzolo con cui crescere e far studiare le sorelle, tre, e mantenere la mamma in Mali.
La traversia per i documenti è infatti come il rebus del cane che si morde la coda: per averli serve il lavoro, ma per lavorare ti chiedono di essere già in regola. Adesso lavora ed è soddisfatto: scarica legna per 5 euro l’ora e se la giornata e buona se ne va a casa con 50 euro. «Lavoro nero e faticoso, ma buono» dice e sorride, «prima era meglio». Dopo sette anni in città si è fatto un’idea dei sambenedettesi: «gente tranquilla, ospitale». È venuto per mettere radici e una volta risolta la questione dei documenti sogna di portare qui la famiglia. E la sua ragazza «arrabbiata perché aspetta da sette anni che io la sposi». La stessa triste condizione dei coetanei italiani.