SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il lungomare è la cartolina più bella e suggestiva della città, così secondo molti. Tanti hanno idee innovative sul suo restyling, e tra loro abbiamo interpellato l’architetto Fabio Viviani, un conoscitore dei segreti del lungomare che fu realizzato agli inizi degli anni Trenta del Novecento dall’ing. Luigi Onorati.
«Sono solo un curioso, non uno studioso: lavorando su Villa Seghetti Panichi di Castel di Lama, per completare la documentazione per la Soprintendenza, ho avuto modo di approfondire alcune circostanze, e non ultimo di soddisfare la curiosità di sapere come e quando sono arrivate le palme nella nostra zona. Le palme, per la prima volta nella nostra zona, furono piantumate nel parco di Villa Seghetti Panichi nel 1890. L’artefice fu un giardiniere ibridatore tedesco, Ludwig Winter che a Bordighera aveva un avanzato vivaio colmo di specie esotiche. A quell’epoca la Liguria e la Costa Azzurra erano la “culla della Palma” tant’è che la vera Riviera delle Palme è quella Ligure di Ponente che nasce almeno 60, 70 anni prima. Anche se nel 1576 già si hanno notizie certissime sulla presenza delle palme nell’area nell’attuale Costa Azzurra, a Hyeres Les Palmiers.
Nella nostra zona fu l’ing. Onorati il primo a concepirle in modo che fossero fruibili da tutti, pubblicamente, e dopo il 1932, piano piano, sono diventate patrimonio della città. Prima di allora erano ad appannaggio solo delle famiglie più abbienti proprietarie di parchi privati. Le palme non erano ancora una specie locale e per questo venivano da lontano con difficoltà e costi di trasporto molto elevati.
Il definitivo collegamento del lungomare, con Porto d’Ascoli, può farsi risalire al 1943 quando la nuova arteria viene collaudata dall’ing. Properzi di Pedaso. Agli inizi non vi erano le palme ma tamerici, ailanti, pioppi. Tra gli anni 60 e gli anni 70 si comincia a rivedere il sistema del verde sul lungomare e a sostituire le specie povere con le palme che diventeranno una presenza sempre più costante fino ad essere presenti addirittura sull’arenile.
La cosa davvero importante è guardare sempre al futuro: io non ho in testa come dovrebbe essere il lungomare, è cosa talmente complessa che non si può risolvere in un’intervista, ma aspirerei a un’opera meno bizantina, più proiettata al futuro per un uso quotidiano costante, evitando al massimo i problemi manutentivi e le aree di risulta interpretate come un giardino di casa propria.
La prima cosa da osservare è che il lungomare ora ispira uno sguardo all’indietro e non in avanti, è stato trattato come il giardino di una villa privata e non è ciò, secondo me, a cui la città doveva aspirare. Nel 1932 eravamo all’avanguardia, oggi no: molti lo ritengono bello ma la bellezza, come sappiamo è soggettiva.
Qualsiasi opera che ha una funzione pubblica deve essere improntata ai principi della manutenzione, dei materiali durevoli, facilmente usabili. In definitiva lo spazio deve essere straordinariamente funzionale, facilmente percorribile e non come adesso che chi cammina spesso usa la parte uniformemente pavimentata della pista ciclabile. Sono noti i costi di manutenzione per le piante, le vasche e fontane, l’illuminazione ecc?
I problemi nascono quando i politici, che dovrebbero guardare al futuro, non hanno lo sguardo rivolto all’avvenire. Quando abdicano dal ruolo che la comunità conferisce loro. Gli ultimi 20-25 anni sono stati il momento peggiore della storia della città, con politici poco proiettati all’avvenire e un ufficio tecnico senza le capacità di Onorati. Lo scotto alla fine lo paga la città.
Noi siamo identificati con mare, porto, lungomare. Poche cose: se non diamo un’identità precisa a questi elementi facciamo la fine del gambero ovvero torniamo indietro. Occorre ritrovare, ed esprimere, con decisione e stile la nostra identità, con elementi peculiari e pubblicamente fruibili.
Ad esempio dal lungomare raramente è percepibile la battigia, non vi sono sedili rivolti ad est e, se ve ne sono, sono talmente pochi che è difficile trovare posto sulle scomode sedute di cui ci siamo dotati.
Penso ai waterfront in Spagna, ad esempio le scelte per il lungomare di Benidorm ad Alicante: tra le mezze lune le palme sorgono su superfici lineari, pulite e colori, con sfumature così forti, a fare da sfondo. Così diverse da come le concepiamo noi e pure così incantevoli e futuribili. Gli spagnoli lo hanno fatto investendo in progetti e concorsi: hanno votato il loro spazio pubblico a forme, colori e sagome molto più avveniristiche rispetto alle nostre soluzioni.
Questa è una pecca grossa della nostra città, che invece di investire su come avere contributi forti per il futuro ha pensato che bastasse l’ufficio tecnico del Comune. Per un’opera del genere invece sarebbe servito un concorso, magari internazionale. All’appunto che spesso viene mosso che ci vuole troppo tempo rispondo che ce ne vuole solo se non ci si organizza, altrimenti si hanno dei tempi normali. È necessario definire cosa si vuole ottenere scegliendo una giuria altamente qualificata per dare risalto al concorso stesso. E poi discutere di futuro. Nessuno è un taumaturgo con la bacchetta magica.
Quando nel ‘32 fu progettato, coloro che fornivano soluzioni erano persone preparate e proiettate in avanti. Oggi non è così, è una mentalità che non ci appartiene più: eppure abbiamo avuto il primo peschereccio a motore d’Italia, abbiamo avuto il mercato del pesce primo in Italia. Perché questa mentalità è andata scemando?
Il costo di un concorso non si può sostenere? È una obiezione infondata: il primo tratto del restyling è costato oltre 5.000.000, l’ultimo costerà 4.000.000, il tratto del giardino “Nottate de luna” oltre 2.000.000 e su 11 milioni di euro spesi non si trovavano 300.000 euro per un concorso? non scherziamo!!! Se abbiamo politici che pensano a sopravvivere non andiamo avanti, quando abbiamo avuto politici lungimiranti ci hanno portato il futuro, come nel ‘32 e come nel 1958 con l’allora area ad est del vecchio lungomare dedicata al verde ed agli impianti sportivi. Noi viviamo ancora su un’idea del 1932! Possibile che ancora nessuno pensi a cosa può essere fatto per la San Benedetto del 2050?
L’ultimo che ha fatto qualcosa per la città è stato il sindaco Perazzoli con l’isola pedonale rimessa a nuovo. Ma poi nel tratto dal Florian alla Rotonda, Martinelli, per dare discontinuità all’opera del suo predecessore, che aveva usato i “sanpietrini”, ha voluto usare un altro materiale: la trachite. Con gli evidenti disagi portati da questa scelta: il porfido ha linee di spacco che danno superfici lisce, molto complanari, invece la trachite si rompe. Volendo differenziarsi andavano magari scelti altri materiali o la trachite andava segata, le stesse linee curve decorative di marmo bianco sembrano disegnate da chi ha avuto problemi di movimenti involontari e convulsi, di scosse o spasmi muscolari, tanto sono di disegno discontinuo.
Oggi più che parlare di come ognuno avrebbe voluto vedere il lungomare credo sia il caso di parlare di futuro, ma non della settimana prossima! Io vorrei lanciare argomenti di discussione che spero interessino la città, perché saranno argomenti ineludibili da qui in avanti: che ne facciamo dell’area degli impianti sportivi in pieno centro ad uso e consumo di poche persone, e di quelle aree ancora più ad est fino al porto turistico? Con un’isola pedonale che viene vissuta molto meno intensamente rispetto a molti anni fa, è ancora giusto chiudere al traffico tutto viale Buozzi? O riaprilo ed avere meno tortuosità nel traffico verso nord?
Via Montebello non andrebbe forse completata fino a piazza Garibaldi per ridare importanza e visibilità ad un’arteria molto usata ma poco definita? Ed una maggiore pedonalizzazione del centro sarebbe così brutta? Avremo così un tappeto uniforme e pedonale nelle viuzze dietro a viale Secondo Moretti.
Del porto che ne facciamo? Lo vogliamo collegare alla città magari sfruttando, non solo con bucature la parte sottostante il rilevato ferroviario, ma anche la prossimità con l’isola pedonale? E l’Albula deve rimane ancora ricettacolo di terra ed erba selvatica? Come vedete di argomenti per la città del futuro ve ne sono molti e probabilmente non li ho elencati nemmeno tutti!
Siamo invece al troppo pressappochismo dove conta riempire gli occhi. Non è però il modo di agire con la cosa pubblica. Da diversi anni a questa parte si pensa che il bello sia legato al passato, all’uso rustico della pietra e questi cliché ci condizionano e non ci fanno guardare oltre. Chi investe in progettualità raccoglie i frutti ma qui non c’è visione di futuro e purtroppo scontiamo questa regressione».